ANNO 14 n° 118
La sassata Con Fioroni sono tornate le licenze del mercoledì
di Arnaldo Sassi
28/12/2015 - 02:00

di Arnaldo Sassi

VITERBO - Beppe Fioroni non è certamente uno che deve ricorrere a Nanni Moretti. Nel senso che non dovrà chiedersi mai se lo si nota di più (in un posto qualsiasi) se ci va, non ci va, oppure ci va e resta in disparte. Lui si nota e si noterà sempre. Intanto perché, alla veneranda età di 57 anni suonati, è ormai diventato un pezzo da novanta nel campo della politica nazionale. E poi perché, nella sua Viterbo, è ormai il dominus incontrastato, essendo anche stato il primo viterbese a diventare ministro della Repubblica.

E così, idolatrato da mezza città e vilipeso dall’altra mezza, è sempre al centro del dibattito. Sia quando tace per lunghi periodi (Come mai? Starà lavorando nell’ombra, come è suo costume?) sia quando decide di ergersi a protagonista di uno di quegli one man show che a lui piacciono tanto e che vengono costantemente celebrati di fronte ai suoi sorcini plaudenti, perché estasiati dal suo Verbo.

Come è accaduto, appunto, domenica 20 dicembre al Balletti Park Hotel di San Martino al Cimino, complici i rituali auguri natalizi. Che il nostro ha preso a pretesto per colpire a sciabolate l’ala sinistra del partito, in questo facendo il verso in tutto e per tutto al vero signore del Pd, ovverossia quel Matteo Renzi da Rignano sull’Arno (pur non avendone affatto le physique du role), provocando un vero e proprio terremoto che ora rischia di coinvolgere in primis il povero e (non tanto) incolpevole sindaco Leonardo Michelini.

Beppe Fioroni, prendendo a prestito ''A muso duro'', canzone storica di Pierangelo Bertoli (forse lo avrà messo al corrente il figlio Marco della sua esistenza), ha deciso di uccidere quel poco che resta dei trinariciuti – Andrea Egidi in testa, in quanto segretario provinciale del partito – perché lui sì, prima del sor Matteo, ha già sperimentato il partito della nazione, che è riuscito a vincere a Viterbo. Dove i comunisti non sono mai stati graditi. Anzi.

Ma adesso la domanda che tutti si fanno è: vabbè, ma quale sarà il punto di caduta? Dove vorrà arrivare il nostro? Un bel busillis si dirà, ma con una certezza: che Beppe Fioroni il percorso ce l’ha chiaro in testa e lo porterà a compimento, costi quel che costi.

Per cercare di dare comunque una risposta al dilemma bisognerebbe redigere in fretta e in furia una biografia, rigorosamente non autorizzata, del personaggio. Ma, per evitare noiosissime lungaggini, basterà rinverdire la memoria su quanto accadeva a Viterbo tra il 1989 e il 1995, quando Beppe Fioroni era alla guida della città, essendo diventato il più giovane sindaco d’Italia.

Certo, il nostro eroe – che all’epoca somigliava a un bambolotto, tanto da guadagnarsi il nomignolo di Cicciobello – non aveva ancora acquisito la scaltrezza odierna. Ma, avendo frequentato assiduamente le full immersion di babbo Nando Gigli e quell’ufficio romano di piazza San Lorenzo in Lucina, dove stazionava il divo zio Giulio (Andreotti, per chi non lo avesse capito), aveva già acquisito tutti – come dire – i segreti del mestiere.

Uno su tutti venne fuori nel 1994, quando arrivò agli onori della cronaca il progetto di allargamento della Camera di Commercio nel piccolo rione del Cunicchio: una piramide, tra l’altro progettata dall’architetto Paolo Portoghesi, che – quanto a impatto ambientale – era un vero e proprio pugno in un occhio. Il Messaggero di Viterbo cominciò allora una campagna di stampa, criticando quell’intrapresa. Ma il bello fu che anche la magistratura, nella persona del procuratore dell’epoca Consolato Labate, volle metterci il naso. E allora, al di là del fatto che poi quel progetto (fortunatamente) abortì, venne fuori che quella licenza edilizia era stata firmata di mercoledì.

''Beh?'' si chiederà il lettore. ''Dov’è lo scandalo?''. Nessuno scandalo ovviamente, ma una semplice coincidenza. Dovuta al fatto che Beppe Fioroni, già all’epoca consigliere dell’Anci, tutti i mercoledì imboccava la Cassia per recarsi nella Capitale e sedere a quell’assise, lasciando al vicesindaco Antonio Brodella il compito di firmare gli atti in sua vece. I maligni dell’epoca affermavano che Cicciobello lasciasse in eredità al suo alter ego per un giorno le pratiche più rognose. Ma questa tesi non è stata ovviamente mai dimostrata. Vero è però che quella licenza sul Cunicchio riportava in calce, e in modo chiaro, proprio la firma di Antonio Brodella.

Tornando ai giorni contemporanei – dopo questo excursus storico di cui avranno memoria solo i meno giovani – ci sarebbe da sottolineare come questa vicenda dei Moderati e Riformisti ripercorra, per sommi capi, quella delle licenze edilizie del mercoledì. Giacché è chiaro come il sole che questo movimento viterbese (i cui tentacoli però si stanno addentrando anche nel Sud Italia e non solo) fanno parte di una partita a scacchi che Cicciobello nostro, gajardo e tosto, sta giocando con l’attuale imperatore del Pd Matteo Renzi. Obiettivo primario: evitare la rottamazione.

Quello che invece è meno chiaro (e qui il punto interrogativo è gigantesco) è perché il sindaco Leonardo Michelini assecondi, senza se e senza ma, questa strategia. Arrivando a rendersi protagonista di decisioni al limite di quella che si chiama etica pubblica (il riferimento alla cacciata dell’assessore Andrea Vannini è puramente voluto) e mettendo a repentaglio la tenuta della sua stessa maggioranza. Da quello che si sta vedendo e ascoltando in questi giorni è ovvio a tutti quelli che hanno un minimo di sale in zucca che da tutto questo bailamme Beppe Fioroni ha tutto da guadagnare (forse), Leonardo Michelini tutto da rimettere (sicuro).

Ormai però, il dado è tratto e bisognerà solo aspettare per vedere come andrà a finire. Ma Michelini, in tutta questa vicenda, assomiglia molto a un novello Brodella. Tanto che, corsi e ricorsi storici, sembra proprio di essere tornati a quelle licenze edilizie del mercoledì.





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